Tutti sappiamo che cos'è il tempo. Tutti noi, infatti, parliamo di giorni, di mesi, di anni. Sono tutte misure del tempo, legate ai movimenti della terra e della luna.
Di per sé il tempo "scorre" sempre uguale: un attimo dopo l'altro, un giorno dopo l'altro, un anno dopo l'altro. Ma sono i cambiamenti che permettono a noi di percepire il tempo come tale: le variazioni ricorrenti, come l'alternanza giorno/notte, luna nuova/luna piena, estate/inverno...; oppure gli avvenimenti che toccano in qualche modo l'esistenza umana e che, nel loro concatenamento, costituiscono la storia di ogni individuo, dei vari popoli, del mondo intero.
È a partire dall'esperienza vissuta dei cambiamenti nello scorrere uniforme del tempo che si è formata l'idea del calendario: un modo per "distinguere" gli uni dagli alti i giorni e i periodi, chiamandoli con nomi e numeri specifici (lunedì, martedì, mercoledì, ecc.; 1, 2, 3,... gennaio, febbraio, marzo, ecc.; anno duemila..., ecc.). Così il tempo viene organizzato nella società umana e diventa possibile situare in esso l'attività, gli avvenimenti, la memoria (personale e collettiva), i progetti e le attese.
Nel calendario, i giorni non sono tutti uguali. Ci sono i giorni "normali", e ci sono le feste. Sono precisamente le feste che segnano i ritmi e le divisioni del tempo in ogni calendario e in ogni società. Una "festa" vuol dire un giorno speciale, diverso dagli altri. Tale diversità, nella nostra società attuale, viene abitualmente percepita come giorni in cui non si lavora (a parte certi lavori necessari anche nei giorni di festa o particolarmente connessi proprio con le festività). Ma la nozione di "festa" non si esaurisce nel semplice fatto dell'interruzione della normale attività quotidiana. La parola "festa" richiama sempre un qualche contenuto positivo: una festa è sempre "festa di" qualcosa o di qualcuno.
Nella nostra società si celebrano feste molto diverse l'una dall'altra: da Natale al 1° maggio, da Pasqua alla "Festa della mamma" da Capodanno alle feste patronali, e così via. Ma, in ogni caso, parlare di "festa" implica sempre il richiamare l'attenzione su ciò che viene festeggiato, come una realtà in qualche modo "importante" per chi celebra quella festa. E una festa si celebra sempre insieme agli altri: non si fa festa da soli. La festa rappresenta per natura sua un fenomeno sociale, implica sempre una pluralità di persone che si incontrano nel nome di determinati valori comuni: quelli appunto che vengono "celebrati", siano essi di ordine religioso, etnico, politico o familiare.

Ma perché anche noi in questo mese facciamo la festa della Comunità Pastorale, quella del Beato Francesco Paleari e quella degli Oratori?

Per ricordare, ringraziare e ritrovarci.
Per ricordare ciò che dà senso, sapore e significato alla nostra vita: essere Figli di Dio, fratelli di Gesù e fra noi, inseriti in un cammino che non è cominciato con noi e continuerà dopo di noi, il cammino della Chiesa Diocesana. Questa Chiesa che ci chiede di camminare insieme come Comunità Pastorale, questa Chiesa che, nel sacramento del Battesimo, ha generato alla fede una persona annoverata tra i Beati e che ci dice che è possibile anche per noi diventare Santi. Infine questa Chiesa che ci invita a non tenere per noi il tesoro prezioso della fede che abbiamo ricevuto e che abbiamo il dovere di trasmettere alle nuove generazioni. Con le Parole, ma soprattutto con l’esempio.
Per ringraziare dei doni che Dio continua a farci incontrare nelle situazioni e nelle persone che troviamo accanto a noi, in cui siamo chiamati a vedere la presenza di Dio.
Per ritrovarci e, come cristiani, come persone semplici, come tutti intrisi di peccato e di Grazia, riempiti di Misericordia da parte di Dio, creare occasioni di incontro semplice, rinnovare conoscenze, approfondire amicizie… insomma, stare insieme al di fuori delle celebrazioni liturgiche, come Comunità Cristiana.
Viviamo queste feste, allora, con gioia e serenità. Perché “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!”. (Sal 132)

Don Vinicio
 
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