Non c’è soltanto la bella coincidenza della ripresa delle Messe con la presenza dei fedeli nella domenica della festa patronale. Ce n’è un’altra che non lascerei cadere e che merita di essere ricordata.
Proprio il 24 maggio di 120 anni fa, Rita veniva proclamata Santa. Sì, il 24 maggio del 1900 il Papa di allora, Leone XIII presiedeva la cerimonia di canonizzazione che portava al riconoscimento della santità di Rita.
Vorrei allora quest’anno ancora di più, sostare sul tema della santità di Rita, scrutare qualcosa, qualche segreto della sua santità.
Noi la vediamo così come ci viene trasmessa dalla tradizione: vestita da suora, con l’abito delle monache agostiniane di Cascia. Ma non dobbiamo dimenticare che la santità di Rita riguarda tutta la sua vita. Da ragazza, da giovane sposa, da moglie, da madre, da vedova e per gli ultimi 40 anni della sua vita da monaca. Ogni stagione della sua vita, ogni momento della sua esistenza è stato illuminato e percorso dalla santità. Non dobbiamo pensare che le virtù eroiche che hanno reso santa Rita siano state esercitate solo durante la vocazione di consacrazione a Dio ma fin dagli anni della giovinezza.
Perché Rita è santa? Giovanni Paolo II rispondendo a questa domanda in una sua lettera inviata a Cascia per un anniversario della santa scriveva: “Non tanto per la fama dei prodigi che la devozione popolare attribuisce all’efficacia della sua intercessione presso Dio onnipotente, quanto per la stupefacente “normalità” dell’esistenza quotidiana, da lei vissuta prima come sposa e madre, poi come vedova e infine come monaca agostiniana”.
La normalità di Rita. Non ha fatto opere eccezionali, non ha costituito congregazioni, non ha promosso delle missioni, ha vissuto in maniera straordinariamente normale, ricca cioè di ogni virtù, ogni momento della sua vita. Il segreto della sua santità più in particolare lo possiamo scoprire nel Vangelo che abbiamo proclamato, nell’immagine dei tralci innestati nella vite. Individuo tre passaggi che si legano al cammino di santità di Rita e che riguardano anche ogni battezzato.
Il primo passaggio è quello del rimanere legati alla vite, da cui il tralcio trae la linfa che fa vivere. “Rimanete in me e io in voi” dice Gesù. La vita di Rita è stata una vita innestata in Cristo, che è rimasta ancorata a Lui, sia nei momenti felici che in quelli tristi. Da Gesù s. Rita ha tratto tutto ciò che le serviva per maturare, per esercitare le virtù più belle, per lavorare con umiltà e dedizione, per amare.
Ma il Vangelo ci ha parlato anche di un altro verbo. Il verbo potare: “Ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto”. La potatura degli alberi, delle piante fa sembrare più brutto e triste l’albero, la pianta. In realtà serve perché questa dia ancora più frutto nella stagione giusta. Anche Rita si è lasciata potare, ha subito le umiliazioni, le sofferenze, ma questa potatura l’ha condotta a crescere nella capacità di amare. Chiediamoci? Io mi lascio potare dal Signore? Mi lascio correggere da Lui? Lascio che il suo Spirito arrivi a dirmi: “Forse dovresti ridimensionare il tuo linguaggio, forse devi tagliare questa cosa che non va?”. Lasciarci potare dal Signore, può far male, ma fa crescere. Il tempo dal quale proveniamo, tempo di prova, di dolore è stato un tempo in cui Dio ci ha potato. Ci ha fatto prendere ancora più consapevolezza del nostro essere creature, fragili, vulnerabili. L’uomo ha sperimentato ancora una volta che non può possedere tutto, avere tutto sotto il suo diretto controllo. Siamo stati messi in guardia da questo. È stata una potatura che ha fatto soffrire tanto.
Ma dalla potatura ecco il terzo atteggiamento: portare frutto. “…ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”. La potatura non è fine a se stessa, è per portare più frutto. La vita del cristiano è una chiamata a produrre frutti buoni per il mondo intero. I frutti non sono cose materiali che si possono contare, i frutti sono i frutti dello Spirito: la mitezza, la gioia, la bontà, la pazienza, il dominio di sé, la pace, la fedeltà, l’amore. 
S. Rita ha portato nel mondo, da sposa, da vedova e da suora questi frutti buoni. E a lei oggi vogliamo chiedere il dono di saper a nostra volta portare frutti buoni. E qui la seconda lettura ci ha aiutati a dare un nome a questi frutti: la stima vicendevole, il superamento di ogni ipocrisia, la costanza nella tribolazione, la premura nell’ospitalità, la purificazione da ogni desiderio di vendetta…
Carissimi ritorniamo a celebrare l’eucaristia insieme, dal vivo, non soltanto come una buona abitudine che avevamo sospeso per un po’, ma come momento che ci fa essere come tralci nella vite e portare frutto. Se riprendiamo a venire a Messa ma la nostra vita non la vediamo portatrice di frutti buoni, questo ci deve interrogare sul senso del nostro vivere il mistero eucaristico. Appena chiuse le fabbriche, gli uffici le scuole, abbiamo visto subito gli effetti positivi sul clima: l’inquinamento nella nostra zona di Milano si era abbassato, i canali di Venezia erano più puliti, sono comparsi dei delfini nel golfo di Napoli. Riprendere ad andare a Messa dovrebbe farci respirare aria nuova, pulita; chi ci incontra, chi ci vede da oggi dovrà stupirsi e dire: “Si vede che hai partecipato alla Messa e non l’hai vista solo alla televisione come le settimane scorse”. Accogliamo questa sfida che ci responsabilizza, che ci farà vivere in maniera più autentica la nostra fede. 
S. Rita ti preghiamo di aiutarci a rimanere attaccati come tralci nella vite a Gesù Cristo, a lasciarci potare per le cose che non sono ancora secondo la volontà di Dio e a portare abbondanti frutti.
Don Andrea

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