Con la festa del Battesimo di Gesù concludiamo il tempo di Natale. Cominceremo a rimettere negli scatoloni le statuine dei presepi, le palline degli alberi e tutti gli addobbi di questo tempo.

Lo sappiamo tutti e non abbiamo bisogno di ricordarlo: è stato un Natale particolare. Senza tavolate per i pranzi e le cene, senza la Messa di mezzanotte, senza baci e abbracci così come era solito fare dopo le Messe, senza aver stappato insieme in oratorio lo spumante per il Capodanno…

In tempo di Covid tutto questo non è stato possibile, ma non ci è mancato l’essenziale e potremmo dire la “parte migliore”: esserci radunati in chiesa (chi non se l’è sentita, da casa) per accogliere anche quest’anno e celebrare la nascita del Figlio di Dio. Sarà stato un Natale un po’ sottotono per via di tante cose che sono mancate ma forse è stato meglio così, anche per ricordare le tante vittime di questa epidemia; ma non è venuta meno la possibilità di accogliere la luce che Gesù ha voluto e vuole ancora portare nel mondo.

L’ho ricordato nelle omelie di questo tempo. Anche allora la santa Famiglia ha dovuto sopportare le cose che non sono andate per il verso giusto: il rifiuto, la non accoglienza (“non c’era posto per loro nell’alloggio”). La Madonna e S. Giuseppe hanno potuto soltanto trovare riparo presso una grotta, al freddo e al gelo, e lì far nascere Gesù. E poi l’ira di Erode che voleva uccidere il bambino e allora via, a fuggire in Egitto. 

Ma Dio non ha aspettato tempi migliori per far nascere suo figlio Gesù. Non ha detto agli uomini di quel tempo: “Dovete prima fare i bravi perché io vi mandi mio Figlio”. Ha accettato il mondo con le sue lacune e povertà, con le sue guerre e le sue iniquità. Davvero “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Lo ha amato con un cuore grande e ci ama ancora così: noi sappiamo ricambiare un amore così?

Riprendiamo da questa settimana i ritmi più quotidiani custodendo la grazia del mistero del Natale celebrato; senza l’ossessione dei colori delle Regioni, nel rispetto delle normative che ci sono date, lavorando di creatività per vivere il tempo che ci è dato facendo il possibile per viverlo al meglio.

Avverto intorno a me una sorta di pigrizia che rischia di aggiungersi alle fatiche di questo tempo. “Siccome siamo in un tempo così è meglio non fare niente, per precauzione, aspettiamo che passi”. Il rischio di un ragionamento così è che subentri in noi appunto una sorta di pigrizia spirituale, il nostro Arcivescovo la chiama addirittura emergenza spirituale; una sorta di inaridimento degli animi, di sfiducia su tutto. Dobbiamo reagire ad una visione così. Anche in tempi di pandemia il bene può essere fatto, i ragazzi accompagnati, gli adulti sostenuti, gli anziani seguiti. Pensiamo ai tempi del dopoguerra. Non era peggio? Case, città distrutte, un tessuto urbano e sociale da ricostruire. Ma in tutto questo ci sono stati uomini e donne che hanno avuto coraggio, fede e voglia di futuro. Sia anche per noi così perché sappiamo ritrovarci uniti a ridare speranza e costruire il futuro. Buona ripresa!

Don Andrea

 
Esci Home