Dieci anni fa il venerabile servo di Dio don Francesco Paleari veniva proclamato Beato. Era il 17 settembre 2011 e una folta delegazione di poglianesi si era recata alla solenne celebrazione di beatificazione del nostro concittadino a Torino, presso il Cottolengo, presieduta dal card. Angelo Amato, delegato del Papa come responsabile delle Cause dei Santi.

Iniziava così un legame più intenso con don Franceschino, un legame che in realtà non si era mai interrotto a partire dalla sua morte nel 1939, da quando cioè da allora si era diffusa la convinzione della santità della sua vita: morto, si dice in gergo, in odore di santità. Nel 1947 era iniziato il processo di beatificazione che aveva portato prima alla dichiarazione di Venerabile, nel 1998 e poi alla beatificazione nel 2011.

Quando io, don Mario Gonti, don Simone e il Consiglio Pastorale ci preparavamo a far partire la nostra Comunità Pastorale e tra i documenti da preparare ci veniva chiesto il nome da darle, non avevamo esitato un attimo a intitolarla proprio a lui, al “nostro Beato”.

Tra le varie testimonianze raccontate nel processo che ha portato alla beatificazione di don Franceschino c’è una frase che colpisce per la semplicità ma al tempo stesso per la sua profondità; un testimone così parlava del Paleari: “Vicino a don Paleari ci si sentiva vicino a Dio”. Il beato don Francesco Paleari era trasparenza di Dio; chi lo accostava veniva rimandato a Dio e al suo amore.

Questo vuol dire essere santi: essere capaci di indicare Dio e il suo amore con la propria vita, essere un rimando a Gesù Cristo e al Vangelo.

Allora mi sembra importante anche chiederci se questi 10 anni di don Francesco Paleari beato ci abbiano portati a intraprendere con più intensità, coraggio e fiducia la via della santità per essere anche noi trasparenza di Dio.

È facile che qualcuno leggendo dica: “E ma io non sono mica beato come il don Franceschino!?!”. Anche lui non si concepiva beato nel corso della sua vita ma cercava in tutto di vivere in pienezza la sua vocazione, di dare il meglio di sé: nell’insegnamento come docente, nella direzione spirituale, nel confessionale, nella visita ai malati. Se il cristiano non si pone come meta alta la meta della santità il rischio è quello di adagiarsi a vivere un cristianesimo annacquato, a farci andare bene le piccole cose, a sentirci a posto perché andiamo a Messa o svolgiamo un servizio. Non basta. Ripartire dall’esempio del nostro beato vuol dire invocare da Dio la grazia di non desiderare di meno che santità della vita, cioè una vita piena che vale la pena di essere vissuta. Chiediamolo al Beato Paleari, lui sa come accompagnarci a questa meta.

Don Andrea

 
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