«Pace a voi!». L’annuncio di Pasqua e la parola misericordiosa del Risorto ai discepoli impauriti che l’avevano abbandonato ci hanno colti anche quest’anno in un tempo di sgomento. La guerra in Ucraina è subentrata alle incertezze di due anni di pandemia che hanno provato tutti. Ora ecco la tragedia di un conflitto del quale udiamo il fragore, tanto ci è vicino, e cogliamo tutta la drammaticità nei volti di chi cerca rifugio nelle nostre famiglie e comunità.

Proprio adesso, così angosciati come siamo, il Signore viene a visitarci accogliendo la nostra paura di un futuro che ancora non si scorge come speravamo. Ma eccolo, è proprio Lui, e ci annuncia la «pace» che ora desideriamo con tutto il cuore, e che forse solo adesso comprendiamo nel suo immenso valore. Con la sua presenza viva Dio ci promette quel dono che a lungo abbiamo creduto fosse come un diritto acquisito, mentre era un bene prezioso e vulnerabile da coltivare e proteggere.

Abbiamo «sciupato la pace», come ha detto il Papa, al pari di altri beni comuni che in tempi di crisi ci si presentano come indispensabili: la condivisione, la solidarietà, la protezione dei fragili, la vita stessa come principio indisponibile... L’emergenza pandemica ci ha mostrato con evidenza senza precedenti che «nessuno si salva da solo» e che è necessario saper vedere le necessità degli altri, perché solo dentro il rispetto e la cura per il prossimo c’è anche il nostro vero bene. Così è anche per la libertà personale, che non può essere imposta come un diritto assoluto ma va orientata per contribuire al vantaggio di tutti.

Una certa fretta di ripristinare la quotidianità “com’era prima” ha dovuto fare i conti con la tragedia del ricorso alle armi per una guerra «crudele», «insensata», «blasfema», come a ricordarci che il mondo attende sempre che diventiamo consapevoli delle ferite altrui mettendo da parte una volta per tutte l’indifferenza. Sentire nostro ciò che appesantisce la vita degli altri aiutandoli a portarne il peso è la chiamata che ci è rivolta adesso, un invito a far vivere la pace portata da Gesù risorto come la garanzia che la morte, la violenza, la guerra non possono avere la meglio.

È il contesto imprevedibile nel quale si colloca quest’anno la Giornata per la Carità del Papa, nell’ultima domenica di giugno. La parola di Francesco ci ha sostenuti sin dall’inizio della pandemia, da quella memorabile sera di due anni fa in Piazza San Pietro con la sua preghiera solitaria a nome di tutta l’umanità. A nome nostro. Ancora adesso, sono la sua presenza e la sua voce a darci coraggio e speranza. Non può mancare il nostro aiuto generoso alla sua instancabile azione caritativa per le necessità di popoli e famiglie, di poveri e profughi.

Abbracciare gli altri attraverso le mani del Papa è un gesto che realizza la pace, perché sostenendo la premura del Santo Padre per le innumerevoli situazioni di indigenza e di “scarto” mostriamo di aver capito di «trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme» (Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia, 27 marzo 2020). Solo su questa strada si avvicina la pace vera, quella promessa dal Risorto.

La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana

 
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