Il Festival della Missione è stato certamente un successo, con i suoi 30 mila partecipanti. Ma cosa consegna un’iniziativa come questa, che ha spaziato in molti campi diversi, affrontando non solo il tema della missione tradizionalmente intesa, ma uno spettro ampio di questioni, dalla new economy alla giustizia, fino alle sfide poste alla Chiesa dal presente? Monsignor Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione, sociale non ha dubbi: «Ci dice, anzitutto, che la Chiesa sta cambiando e possiamo guardare a questo mutamento senza troppa paura, ma con serenità, sapendo che, come dice il Papa, niente è più come prima e non si può continuare a fare come si è sempre fatto».

Dialogando col Presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi durante uno dei panel più attesi, lei ha notato come l’indebolimento nel reticolo parrocchiale stia trasformando il volto della Chiesa. Rischiamo di perdere il treno della storia?

Sicuramente il cambiamento culturale mette in luce che la forma adottata dalla Chiesa per abitare la storia e la società – nata nel XIII secolo e perfezionata nel Concilio di Trento – non funziona più. Anche perché era fortemente ancorata a una popolazione stanziale, mentre ora la gente ragiona per flussi, ci si muove di più, c’è il mondo digitale. Tocca a noi, oggi, l’operazione che hanno affrontato i nostri predecessori di sette secoli fa, immaginando come incarnare la fede cristiana e il Vangelo in questo nuovo tipo di società.

Quale è stato il significato del Festival per Milano? Nella celebrazione conclusiva l’Arcivescovo ha chiesto di continuare ad annunciare la speranza…

Anzitutto abbiamo sperimentato la gioia dell’incontro, ascoltando Chiese sorelle e tanti cristiani che hanno raccontato come testimoniano la fede. Quindi non possiamo che ringraziare il Signore e imparare da loro: basti ricordare il panel sul martirio (leggi qui), del quale sono stati protagonisti quanti hanno provato sulla loro pelle la prigionia, le ferite concrete e dell’animo. Il Festival ci ha aiutato a comprendere il contributo che Milano può offrire, aiutare a vedere le molte dimensioni del cambiamento: dall’economia alla geopolitica (solo per citare due questioni aperte, approfondite nel Festival). Effettivamente è stato un momento di grazia, perché ha permesso di capire che Milano e il mondo della missione possono imparare tanto l’una dall’altro, vicendevolmente.

Intere nuove aree della città che cresce non prevedono la presenza della Chiesa. Come leggere questo fenomeno?

Il nuovo Arcivescovo di Torino, monsignor Roberto Repole, intervenendo al Festival, ha ricordato che Torino e Milano sono terre di missione: un’idea che per la nostra città era già stata del cardinale Montini, quando era Arcivescovo. A lui dobbiamo il grande piano «Nuove chiese» nelle periferie del boom economico, per permettere ai nuovi arrivati non solo di celebrare e vivere la propria fede, ma di approfittare della fede stessa per crescere. Così dobbiamo fare anche noi. Nella città che cresce – penso a CityLife o a Mind – la fede vuole esserci, per dire che il senso della vita è l’amore di Dio in Gesù. Nell’ultimo Discorso di Sant’Ambrogio nel 1962, prima di diventare Papa, Montini aveva ricordato che già Sant’Ambrogio aveva vissuto in una situazione di città frammentata, riuscendo a portare Milano, con la fede, a un livello tale che si dice che fu sant’Ambrogio a inventare i milanesi. 

Articolo di ANNA MARIA BRACCINI dal portale della Diocesi Chiesadimilano.it 
 
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