Ogni anno alla fine di Gennaio, viviamo la settimana dell’educazione. Mentre pensavo e riflettevo sul grande compito affidato a ciascuno di noi adulti, e ancora una volta provavo in semplicità e umiltà cosa volesse dire concretamente educare e soprattutto educare alla fede oggi, mi tornava alla mente una delle frasi più celebri di San Giovanni Paolo II che ci invita ad essere educatori che non abbassano mai la guardia: “Prendete nelle vostre mani la vostra vita e fatene un capolavoro”. Non dovremmo chiedere meno di questo, quando ci rivolgiamo ai ragazzi che la comunità ci ha affidato. Non si tratta di educare “con lo stampino”, ma di tirare fuori da ciascuno la bellezza che porta dentro e vigilare che non ci siano cose o situazioni che la sporchino, la tengano schiacciata o imbrigliata.
La mediocrità e la mondanità vanno a braccetto. Dovremmo verificare se nelle nostre proposte c’è qualche deriva che ci porta dall’una o dall’altra parte. Vincente, invece, è la testimonianza delle persone che hanno fatto della loro vita un capolavoro. L’esemplarità è l’elemento chiave dell’educazione. Ci sono persone capaci di contagiare e di affascinare perché sanno mettere in pratica la vita buona del Vangelo. Sono loro che in qualche modo dovrebbero anzitutto venire in contatto con le giovani generazioni. 
Io credo che queste persone potremmo essere anche noi! Si potremmo essere  ciascuno di noi quando valorizzo la bellezza e l’unicità dei ragazzi che incontro o che mi sono affidati; quando riesco a guardarli con lo stesso sguardo di Gesù e a riconoscere in loro un autentico capolavoro perché tutti figli dell’unico Padre; quando propongo ai bambini, ai ragazzi, ai giovani desideri grandi e li invito ad aspirare a qualcosa di più evitando proposte mediocri, a basso prezzo ma facili e attraenti; quando sono consapevole che i più giovani cercano in me un  modello e un esempio; quando desidero migliorare la mia proposta nei loro confronti e conformarla al Vangelo. 
Per questo credo fermamente che non ci sia modo migliore che mettersi alla scuola del Signore Gesù e nuovamente imparare a pregare per assumere i suoi stessi sentimenti e il suo stesso sguardo. Pertanto invito tutti, ma in modo particolare chi tra noi svolge un servizio speciale in ambito educativo (catechisti, educatori, allenatori), a ritagliarsi uno spazio per “sostare” con Dio e lasciarsi istruire da Lui, anche su come educare i ragazzi a loro affidati, lasciandosi interrogare dal vangelo e da quanto Gesù dice, fa, insegna, vive in prima persona. 
Chiedo a tutta la comunità adulta e in modo speciale agli educatori di fare propria la domanda che i discepoli rivolsero un giorno al Signore, vedendolo in preghiera: «Maestro, insegnaci a pregare». Gesù insegna innanzitutto a chiamare Dio con il nome di “Padre”, anzi di “Abbà” (papà), come Lui stesso chiamava il Padre che è nei cieli.  Sforzarsi di pregare come Gesù è dunque l’obiettivo alto che ogni educatore si può dare, sapendo che è Gesù stesso che ci dona il suo Spirito per entrare in quella comunione speciale con Dio che nessuno può avere da solo e che pure è concessa a tutti. La rivelazione che ci viene data, il mistero dell’incarnazione, la vita stessa di Dio che ci viene incontro nel suo figlio Gesù sono la chiave per plasmare la propria vita, le proprie azioni, il proprio servizio imparando dal solo che merita l’appellativo di “Maestro” e rivolgendosi a Colui che è il solo che possiamo autenticamente chiamare “Abbà, Padre!”
San Giovanni Bosco, nella cui memoria il prossimo 31 gennaio, celebreremo una Messa tutti insieme per le comunità educanti e per i nostri oratori, interceda per noi. 

don Simone

 
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