Forse il suo nome ci è noto solo perché a lui è dedicato l’Istituto professionale a Rho, le Olivetti, in cui studiano e hanno studiato tanti ragazzi e ragazze di Pogliano. Ma all’avvicinarsi del 25 Aprile, nel centenario della sua nascita e nell’ottantesimo della morte, è importante quest’anno in particolare fare memoria di Giancarlo Puecher, questo giovane che ha vissuto la Resistenza ed è stato fucilato a soli vent’anni a motivo della sua militanza a favore della liberazione del nostro Paese, che martedì prossimo ricorderemo nel 78° Anniversario.
Nasceva a Milano cento anni fa da una famiglia benestante. Il padre Giorgio era uno stimato notaio di origini trentine; la madre Anna Maria era una donna dalla solida fede cristiana e secondo questi valori cresce il figlio. Avevano fatto studiare Giancarlo in una delle scuole più rinomate di Milano, ancora oggi, il “Leone XIII” gestito dai gesuiti.
Preparato intellettualmente, dotato fisicamente, benestante e bello, baciato dalla fortuna, avrebbe potuto come si dice “imboscarsi” e aspettare, in un rifugio sicuro, che passasse la guerra per poi fare carriera.
La casa di famiglia di Milano fu tra quelle distrutte dai bombardamenti aerei dell’estate 1943 e si trasferisce in Brianza a Lambrugo. Giancarlo sente crescere in lui il desiderio di passare all’azione, di dare il suo contributo, di idee ma anche di opere e così mettersi a disposizione animato da spirito patriottico per la liberazione dell’Italia. Si confida con alcuni sacerdoti che nella zona già sostenevano la Resistenza e passa all’azione compiendo degli atti dimostrativi di disturbo e sabotaggio nei confronti dei nazifascisti. La sera del 12 novembre ‘43 viene fermato da un posto di blocco dei militanti della Repubblica Sociale e trovato in possesso di volantini antifascisti e di materiale esplosivo e viene condotto in carcere a Como. Anche il padre Giorgio viene arrestato con la motivazione che “non aveva saputo educare il figlio”. Deportato nel lager di Mauthausen morirà di stenti.
Il 20 dicembre uno squadrista di Erba viene assassinato e per rappresaglia i fascisti comaschi decidono di giustiziare i resistenti che erano nelle loro mani, dopo un improvvisato processo. Ma proprio per l’inconsistenza delle accuse alla fine il solo Giancarlo Puecher viene scelto come capro espiatorio per la sua notorietà e in quanto era il più giovane. Puecher nella lettera che lasciò al suo confessore scrisse: “Muoio per la mia Patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato. Spero che il mio esempio serva ai miei fratelli e compagni”. E poi aggiunge: “Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno quello che fanno e non pensano che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia”. Parole sante, parole da vero uomo e da vero cristiano. Quanto sono vere anche per i contesti di guerra di oggi. Addirittura si dice che abbia abbracciato i soldati del plotone di esecuzione prima di essere fucilato. Le sue ultime parole furono: “Viva l’Italia”.
All’indomani della Liberazione fu il primo a ricevere la Medaglia d’oro della Resistenza della Lombardia per il suo sacrificio e le alte idealità a cui aveva ispirato ogni azione. Teniamo viva la sua memoria e di tutti coloro che hanno dato la vita per la libertà e la democrazia del nostro Paese.                                       

Don Andrea

 
Esci Home