Non avrei voluto scrivere nulla per la Quaresima di quest’anno, non sento di avere nulla da dire e, francamente, mi sento come assediato dalle parole, di questi tempi. Assediato da parole di notizie, in cui si dice tutto il contrario di tutto, da opinioni di tutti su tutto. Mi è stato chiesto, però, di scrivere qualche riga da alcuni volti amici e, come spesso mi capita, ho ceduto. Perdonatemi se, come al solito, offrirò solo qualche fessura di suggestione e non un ragionamento logico. Mi sono lasciato guidare da questo senso di assedio e ho pensato di racimolare da campi di altri, ben più capaci e autorevoli di me, qualche riflessione sul tema del silenzio. Del resto, mi sembra anche un tema affine alla Quaresima, tempo di digiuno, digiuno anche da parole di troppo. 

«Quando rabbi Mendel fu a Kozk, il rabbi di Kozk gli chiese: “Dove hai imparato l’arte del silenzio?”. Stava per rispondere, ma ci ripensò ed esercitò la sua arte». Forse, allora, per parlare del silenzio bisognerebbe più tacere che parlare, lo riconosco, e anche per questo voglio solo tratteggiare percorsi che poi, chi lo desidera, non potrà che proseguire in sé stesso. Il silenzio è qualcosa di assolutamente personale. Di personale, ma anche ambiguo, che rischia di degenerare nel mutismo, in un rifiuto di comunicazione, come pure può essere segno di giudizio e disprezzo per l’altro, o di inquietudine, angoscia. A ciascuno spetta vigilare e interpretare il suo silenzio. Personalmente, ritengo che la situazione di reclusione un po’ forzata che tutti stiamo vivendo possa farci tornare ad apprezzare il valore del silenzio. A pieno regime siamo spesso inondati di rumore, tanto che il sociologo francese D. Le Breton parla di «tirannia del rumore» nelle nostre città, con la conseguenza che a volte il silenzio ci crei perfino disagio. E allora ecco che pur di non ascoltare il silenzio facciamo andare in sottofondo la radio o la tv, ascoltiamo musica dagli auricolari, non solo a casa ma, se ci fate caso, anche nei supermercati, nelle stazioni, nelle sale d’aspetto… Lo so, può sembrare banale, e voi mi perdonerete, ma si potrebbe anzitutto approfittare della “situazione-occasione” per tornare ad apprezzare il silenzio, che in modo forse un po’ cupo ci accompagna in queste strane settimane. Silenzio che si rivelerà, col tempo, casa piacevole da abitare, come suggeriscono i versi di Pierluigi Cappello: «Fra l’ultima parola detta / e la prima nuova da dire / è lì che abitiamo». Silenzio come casa, ma anche silenzio come nuovo e più profondo linguaggio degli affetti. Rimasi estasiato quando lessi per la prima volta, dal pugno di un amico, queste parole di M. F. Sciacca: «Il dialogo tra due persone che si amano profondamente, a un certo punto e nel punto della sua più intensa profondità, diventa silenzioso. Ciascuno intuisce quel che l’altro sente e pensa, e nessuno dei due sente più il bisogno di dire. L’intuizione d’amore corre davanti a ogni parola, la rende superflua e la annulla. I corpi si sono fatti sonori: dicono senza parlare, carichi di tutte le vibrazioni dello spirito». Silenzio che anzitutto dobbiamo sforzarci di vivere in prima persona, riducendo la mole di parole non solo da ascoltare, ma anche da dire. Ci viene in aiuto ancora una volta la parola poetica (la sola capace di sfiorare il silenzio), questa volta di una donna, Alda Merini: «Mi piace chi sceglie con cura / le parole da non dire». Noi per primi dovremmo cercare di ridurre le parole da dire, le opinioni e i giudizi affrettati, perché – ne sono convinto – solo dalla gravidanza nel silenzio possono nascere parole profonde e non banali, nutrienti. Digiuno da parole, potrebbe essere un digiuno gradito a Dio. Perché se è vero che «solo le lunghe pazienze possono far germogliare la vita» (G. Baudry), anche i lunghi silenzi possono far germogliare la parola, una parola nuova, inedita. Nel mio piccolo penso che anche a noi “uomini di Chiesa” non farebbe male, a volte, un digiuno delle parole. A tal proposito mi provoca sempre quanto leggo in Maharshi, mistico indiano che porta il profumo di un’altra tradizione religiosa: «Cosa ne pensi di un uomo che ascolta per un’ora un’arringa spirituale e se ne va senza esserne impressionato e senza avvertire la necessità di cambiare vita? Confrontalo con un altro che si siede in silenzio i piedi di un saggio e torna casa con una visione completamente diversa della vita».  Forse il silenzio è trattenere il fiato per ispirare una presenza. Trattenere il fiato per fare spazio, per svuotarsi. Se sei pieno di te, del rumore di te, non entri in un vero ascolto e non sai più, non puoi più ascoltare. Silenzio, allora, per ascoltare una parola, soprattutto la Parola di Dio. In questi giorni senza Eucaristia potremmo tornare a gustare meglio il pane della Parola di Dio, delle Scritture. Nei racconti della trasfigurazione la voce di Dio, dal cielo, ce lo dice chiaramente: “Ascoltatelo!”. Ascoltare lui, Gesù, la sua persona, non solo il suono delle sue parole. Ascoltare il suo modo di stare al mondo. Farlo nostro. Ascolto che viene sempre prima del parlare. Tra i sogni del cardinal Martini vi era quello di una Chiesa che non parla senza aver prima ascoltato. Chiudo con un’ultima suggestione, che rubo da un amico, don Angelo, che mi suggeriva di ascoltare non solo la Parola di Dio, ma anche i volti delle persone che abbiamo accanto. Soprattutto in questi giorni in cui, per la prima volta dopo tanto tempo, si riesce a passare più tempo in famiglia. Mi scriveva qualche giorno fa: «La Quaresima ci lascia questo appello e da questi giorni difficili potrebbe venirci un invito: “Create nella vostra vita, nei vostri giorni normali, spazi anche piccoli, in cui aprire il libro, quello delle Scritture sacre, o quello dei sapienti della terra o il libro che è ogni donna e ogni uomo che vive con te o ti passa a fianco e chiede di essere letto”. Forse noi, in questo tempo di “reclusione forzata”, potremmo ri-innamorarci di questi rapporti veri, di questi silenzi pieni, di questi sguardi che accarezzano, di queste parole non urlate, di questa preghiera che ha l’odore della casa».
 
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