Sono diverse e tutte preoccupanti le definizioni con cui cerchiamo di spiegare cosa stiamo vivendo in queste settimane di epidemia: tempo sospeso, tempo di smarrimento, tempo di guerra, di paura, di angoscia…  Tutte definizioni giuste perché stiamo vedendo sui nostri teleschermi immagini di malati, di ambulanze, di medici e infermieri che si consumano (e muoiono), immagini di bare e cimiteri. E le morti non sono soltanto quelle in paesi lontani ma sono qui vicino a noi, nei nostri paesi, nelle nostre vie, nei nostri condomini.
Quello che è successo ha creato non solo uno sconvolgimento dei ritmi normali di vita ma anche uno sconvolgimento interiore. Senza però cadere nella rassegnazione occorre saper reagire e allora, accanto alle altre definizioni, parlerei di questo tempo anche come tempo rallentato. È un tempo rallentato per fare cosa? 
Innanzitutto, per pensare. Ci è dato un tempo in cui possiamo, nonostante l’angoscia che proviamo, cercare di pensare a cosa significhi tutto questo. A mio parere l’emergenza che stiamo vivendo ci ricorda ancora una volta che l’uomo è fragile creatura e che la scienza, anche se ha fatto passi da gigante, non può e non potrà mai arrivare a risolvere completamente tutte le cause e i problemi che minacciano la vita e la salute dell’uomo. Il pensiero, la riflessione ci spingono sì a fidarci degli scienziati ma a non pensare che possano arrivare a risolvere tutto. C’è sempre un margine, c’è e ci sarà sempre qualcosa che sfugge, un virus invisibile, che non è ancora catalogato e che fa danni. Ecco allora che il pensiero è chiamato a fidarsi anche di Dio di quel Dio che ci ha creato a sua immagine e somiglianza e che attraverso suo figlio Gesù ci ha insegnato a vivere su questa terra avendo una meta nell’aldilà. Questo è il tempo per pensare che siamo fragili e che abbiamo bisogno di affidarci ogni giorno a Dio.
È questo anche il tempo per pensare alle cose essenziali. L’epidemia ci ha costretti a casa, sono aperte solo le imprese che danno beni essenziali (alimenti, energia, naturalmente gli ospedali). A casa uno è chiamato a ritrovare se stesso e a ritrovarsi con le persone care, essenziali: marito, moglie, figli, fratelli e sorelle. Nei ritmi normali della vita si diceva che non c’era mai tempo per fermarsi a dialogare: eccolo il tempo, non sciupiamolo. Ecco il momento per un dialogo più sereno, più pacato, per spiegarsi meglio e per crescere insieme come famiglia.
Infine, pensiamo anche al dopo, al dopo-emergenza. Che non sia semplicemente un ripartire come prima e più di prima.
Ma un riprendere con la consapevolezza che queste settimane, o mesi, avendo riflettuto sulla vita e sulla morte, si ricomincia in maniera diversa, mettendo in atto quel modo di vivere che non ci fa perdere di vista l’essenziale in ognuno degli ambiti dove la nostra vita si svolge: il lavoro, la casa, la scuola, la parrocchia… puntare a far sì che in ogni cosa, in ogni discorso, in ogni scelta, ci si ricordi che siamo passati attraverso un tempo di purificazione e di riflessione e questo non è passato invano.

Don Andrea Cardani
 
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