In questi ultimi anni la Messa nell’Ultima Cena l’avevamo unificata tra le nostre due parrocchie per far risaltare ancora di più il senso di comunità, per sentirci ancora di più un unico corpo attorno all’unica mensa del Signore. Quest’anno, anche se fisicamente non siamo qui tutti in chiesa santi Pietro e Paolo, ci vogliamo comunque sentire un popolo che, in forza dello spirito e grazie ai mezzi per arrivare nelle case, si raduna e siede alla mensa dell’Ultima Cena.

“Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?” chiedono i discepoli a Gesù. Mi piace pensare che quest’anno Gesù mangerà la Pasqua nelle nostre case, nelle nostre famiglie. Sì, è quest’anno la Pasqua in cui sentire Gesù che si siede a tavola con noi, che spezza il pane alle nostre mense di casa, che si offre nel vino e che si china a lavarci i piedi. Quest’anno non siamo noi a recarci in chiesa ma è Lui, il Maestro che dovremmo pensare che bussa alle porte delle nostre case, e sta a noi accoglierlo, nel segreto del nostro cuore. Gesù oggi alla domanda sui preparativi risponderebbe così, proprio come ha risposto allora: “Farò la Pasqua da te, con te, nella tua casa”.

Allora accogliamo Gesù in casa nostra, offriamogli qualcosa da mangiare, e soprattutto mettiamoci in ascolto della sua Parola e entriamo in dialogo con Lui. Cosa ci dici seduto alle nostre tavole?

Gesù non bada troppo ai convenevoli lo sappiamo. A chi gli aveva rimproverato che fosse necessario fare le purificazioni rituali prima di mangiare aveva risposto che era ancor più necessaria la pulizia interiore per essere degni di sedere alla tavola ed essere in pace gli uni con gli altri. Ecco allora su quella tavola dell’ultima cena Gesù va subito al sodo: “Qualcuno di voi mi tradirà!” dice.

Ma la cosa che stupisce è l’immediata continuazione della scena. Gesù non dice: “Vattene fuori da questa casa Giuda” ma prende il pane lo spezza e lo porge agli apostoli tutti e dice: “Prendete questo è il mio corpo” e lo stesso con il vino: “Bevete questo è il mio sangue”. Gesù si dona tutto a tutti, anticipando nell’Ultima Cena il sacrificio della croce e accettando e portando su di sé il tradimento di Giuda, l’abbandono degli apostoli e il rinnegamento di Pietro.

Ma ciò che sorprende è questa ostinazione di Gesù nell’amare fino alla fine, nonostante il tradimento di Giuda e il trovare vie di fuga da parte degli apostoli.

Gesù alla nostra mensa si offre oggi come allora, ma quella che stiamo celebrando non è una rievocazione storica dell’ultima cena, ma il riviere nell’oggi il dono stesso di Cristo per l’umanità perché anche noi impariamo nuovamente cosa vuol dire essere dono gli uni per gli altri.

Nel resoconto dell’evangelista Matteo dell’Ultima Cena non leggiamo la scena della lavanda dei piedi che solo Giovanni riporta, quella che avremmo letto nella messa coi bambini oggi e in cui avremmo rifatto lo stesso gesto di Gesù ai bambini. Ma questo gesto proprio nel contesto dell’ultima cena ci ricorda ancora di più il significato di questo stare a tavola. Gesù sta in mezzo ai suoi non per essere servito ma per servire: e lo fa con i gesti più che con le parole, prendendo dell’acqua e un asciugatoio e chinandosi a lavare i piedi degli apostoli.

Quest’anno ancor di più siamo chiamati nelle nostre case a compiere questo gesto. Sarebbe davvero bello se al termine di questa celebrazione ognuno nelle proprie case potesse rifare il gesto di Gesù e ridire così l’amore con il quale lo sposo ama la sposa e viceversa, il padre ama il figlio e viceversa, la madre ama la figlia e viceversa. E così tra fratelli e sorelle. Laviamoci i piedi gli uni gli altri per dare compimento al comando di Gesù: “Quello che ho fatto a voi ora fatelo gli uni per gli altri”.

Non vorrei però lasciar passare sottotono anche l’ammonimento che S. Paolo nella prima lettura, ogni anno ci rivolge celebrando l’ultima cena di Gesù: “Quando vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore”. S. Paolo si era accorto che dopo un po’ di tempo i discepoli del Signore rischiavano di tradire quella consegna dell’ultima cena, troppi poveri non ricevevano l’attenzione dovuta, erano trascurati e così S. Paolo mette in luce la contraddizione del celebrare l’eucaristia e coltivare sentimenti e stili di vita in cui prevale l’egoismo, l’avidità, il potere, il non farsi carico dei bisogni dei poveri, di chi non ha di che mangiare. Addirittura, S. Paolo dice che questo modo contraddittorio e incoerente di vivere l’eucaristia è indegno. Chi si siede alla mensa eucaristica e non vive una reale comunione, un servizio disinteressato ai fratelli “mangia e beve la propria condanna”. Sono parole forti che ci servono però, ci aiutano a cogliere sempre di più il valore della Messa che celebriamo e che si spera tra non molto ritorneremo a celebrare insieme. La Messa trova il suo compimento nella vita e se nella Messa ho fatto comunione con Gesù Cristo allora sono chiamato a vivere questa comunione, e questo servire nella vita, come ha fatto lui. Altrimenti mangiamo e beviamo la nostra condanna e non siamo degni di sederci a quella tavola. In queste settimane di assenza dal banchetto eucaristico pensiamo a come viviamo la nostra partecipazione alla Messa: se rischiamo di cadere nell’abitudinarietà, nel volontarismo, nella superficialità e soprattutto se non viviamo la spinta missionaria che l’eucaristia vuole generare. Pensiamo alle nostre Messe ai gesti che compiamo, alle parole che ci scambiamo, pensiamo a come renderle ancora più vere e sentite. Non possiamo più come spesso facciamo assistere alla Messa, ma partecipare alla Messa: vuol dire esserci con tutto se stessi e scoprire che la Messa “viene bene” se ci metto anche il mio cuore, la mia partecipazione piena e soprattutto se facciamo nostra la novità di vita che da essa scaturisce.

Carissimi, il tempo di prova che stiamo vivendo ci renda più desiderosi di ritornare a celebrare l’eucaristia ma in una maniera davvero nuova, come Gesù l’ha pensata e l’ha istituita il Giovedì Santo.

Don Andrea


 
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