Celebrare la liturgia della passione e della morte di Gesù in tempo di epidemia nel quale ci troviamo, assume un significato ancora più forte e ci fa immergere in una maniera tutta particolare nel dramma della crocifissione del Figlio di Dio.
Il nostro Arcivescovo Mario nel messaggio per la Pasqua di quest’anno ha scritto: “Noi, vivi, sani, impegnati in molte cose siamo abituati a pensare alla morte come a un evento così lontano, così estraneo, così riservato ad altri… La morte è diventata vicina, interessa le persone che mi sono care, i confratelli, le presenze quotidiane negli ambienti del lavoro, del riposo…. Si intuisce che non basta avere un compito da svolgere per convincere la morte a passare oltre il numero civico di casa mia. La morte è così vicina e non ci pensavamo. Rivolgerò più spesso lo sguardo al crocifisso appeso in sala e con più intenso pensiero”.
Raccogliamo questo invito del Vescovo, togliamo oggi e domani il crocifisso dalle pareti per metterlo ancora più in evidenza, su un mobile al centro del sala. Lasciamoci ispirare anche dalla nostra S. Rita che, nell’affresco della nostra chiesa e nella statua che la rappresenta, la vediamo rivolgere lo sguardo proprio a Gesù Crocifisso.
Mi ha colpito in questi giorni anche un articolo del card. Ravasi dove dice che Gesù muore come uno colpito dal coronavirus. Chi si ammala di questo virus gravemente alla fine muore perché gli manca il respiro. Il virus arriva a intaccare la capacità respiratoria fino al limite di provocare il soffocamento. Così è morto Gesù in croce: per asfissia. Nella crocifissione il peso del corpo provoca dopo qualche ora la compressione della gabbia toracica e dei polmoni fino a far mancare il respiro. 
Questo parallelismo tra la morte di Gesù e le morti causate dal virus ci fanno ancor più riflettere quest’anno, sul mistero del morire. Come ci ha detto il Vescovo Mario: non pensavamo che la morte fosse così vicina.
Guardiamo dunque a Gesù crocifisso, o meglio contempliamo Gesù crocifisso per farci aiutare da lui, sì a portare le nostre croci come spesso ci diciamo, ma anche per sostenere il pensiero della morte.
L’epidemia in corso ci ha fatto constatare ancora una volta la vulnerabilità dell’uomo. La sua fragilità di creatura. Un virus invisibile anche se apparso migliaia di chilometri lontano da noi, è arrivato dopo qualche mese anche da noi e poi in tutto il mondo, a seminare paura, smarrimento, dolore e morte. 
Gesù ha voluto fino alla fine essere vero uomo e portare con sé tutto lo struggimento e la paura del morire, come accade per ciascuno di noi. Ha sentito il peso della morte, ha chiesto soccorso a Dio, come facciamo noi in questi tempi: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”
Ma Gesù nel momento della morte in croce ha vissuto due atteggiamenti importanti che aveva già mostrato nel corso della sua esistenza e che dall’alto della croce emergono in una forma ancora più chiara e convincente, come luce che squarcia le tenebre: la fiducia in Dio e la capacità di amare fino alla fine.
Gesù si è fidato di Dio, ha creduto nella sua promessa anche nel momento della croce. Ricordiamo il Vangelo di ieri di Gesù nell’orto degli Ulivi: “Padre non come voglio io ma come vuoi tu”. Gesù ancora una volta ha rimesso la sua vita nelle mani di Dio, ha scommesso ancora su di Lui, nonostante la via della Croce, nonostante le umiliazioni, le torture, gli insulti, le derisioni. Gesù, ancora come vero uomo, ha combattuto persino l’ultima delle tentazioni: “Lui che ha salvato gli altri, non può salvare se stesso?”. La tentazione di salvarsi da sé, di mostrarsi come il Dio potente che mostra i muscoli scendendo dalla croce. Quante volte anche noi pretendiamo un Dio così oppure quante volte anche noi cerchiamo di salvarci da noi stessi: “L’importante che sto bene io”. Il pretendere di salvarci da noi stessi ci fa guardare a questi nostri giorni, e ci fa riflettere se non rischiamo forse di cadere in un delirio di onnipotenza. Fare tutto, depredare gli ecosistemi, mangiare di tutto e nella quantità che uno vuole. Assolutizzare la scienza senza riconoscerne i limiti, continuare a vivere con stili di vita che sacrificano le risorse naturali senza preoccuparci della loro rigenerazione, continuare nelle produzioni inquinanti….Quante situazioni in cui l’uomo è coinvolto cercando di “salvare se stesso”, non pensando che in realtà sta uccidendo se stesso. 
Gesù sulla croce ci insegna l’amore senza fine. “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno” dice Gesù dall’alto della croce. E assegna il paradiso al ladrone pentito. Le braccia distese sulla croce sono il segno plastico di un abbraccio al mondo intero. 
La fiducia in Dio e la capacità di amare sino alla fine apriranno la via della salvezza e della risurrezione.
Contempliamo anche noi quest’anno il Crocifisso, il Gesù crocifisso nelle nostre case, chiedendo a Lui di rinnovare la nostra fiducia in Dio e di farci crescere nella nostra capacità di amare.

Don Andrea

 
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