Quel 7 maggio 1939 cadeva di domenica. Monsignor Francesco Paleari comparve davanti a Dio nel giorno del Signore, quello che durante la vita aveva maggiormente celebrato con i santi misteri e illustrati con la spiegazione delle Sacre Scritture. “Quando ancora era insegnante di filosofia lo sentii io stesso dire che sarebbe morto sui 75 anni. E così avvenne…”, depose un teste al processo diocesano. Li aveva appena superati da sette mesi.
Così ci ha descritto gli eventi legati alla morte del Beato, il nostro compianto compaesano don Luigi Crivelli nel suo libro su don Franceschino. Don Crivelli cita anche alcuni quotidiani dell’epoca che riportarono la notizia della morte del Beato facendo già emergere la straordinarietà di questo prete. L’edizione torinese del quotidiano L’Italia descriveva don Paleari come colui che “aveva consacrato tutta la sua vita alla Piccola Casa e alla grande casa della Diocesi con lo stesso spirito del Fondatore, aggiungendovi qualche sfumatura della giovialità alla Don Bosco e distinguendosi in quell’apostolato del confessionale che santificò il Cafasso”; La Stampa il maggior quotidiano torinese scriveva: “un grande lutto ha colpito la Piccola Casa della Divina Provvidenza ed il clero torinese con la scomparsa di Mons. Paleari. Era circondato da universale stima ed affetto per la sua dolcezza, la sua alta e schietta spiritualità, per la sua grande saggezza. Molti sacerdoti ricorrevano a lui per cercare consiglio sicuri di trovare un padre affettuoso”. E così il Popolo della Sera e persino L’Osservatore Romano lo ricordarono in quei giorni.

Appena morto una frase girava di bocca in bocca nella Piccola Casa ma anche in tutta Torino: “Il prete santo del Cottolengo è spirato!” e una fiumana di gente anche sconosciuta si avviò al Cottolengo per dare l’ultimo saluto. Entravano tutti: Vescovi, preti, suore, giovani e anziani, ricchi e poveri. Non chiedevano altro che vedere ancora una volta quel piccolo prete che li aveva aiutati nella loro vita.

I funerali si svolsero il 10 maggio presieduti dal cardinale di Torino di allora Mons. Maurilio Fossati, presenti i Vescovi di Biella, Prato e Pistoia. Nell’omelia il cardinale disse: “Pensando alla sua vita sempre tanto operosa, alla sua umiltà, al distacco da ogni cosa terrena, alla letizia che sempre portava sul volto e comunicava a quanti avvicinava, alla serenità con cui sopportò la sua lunga ultima infermità, non è vero che tutti abbiamo invidiato la sua morte? Eppure nulla ha fatto di straordinario, ma giornalmente, dalla sua prima Messa alla morte, egli ha speso i suoi talenti e il suo tempo per il bene altrui, da buon sacerdote”.

Carissimi, abbiamo penso ancora davanti agli occhi e nel cuore i momenti in cui abbiamo accolto nel settembre scorso l’urna del beato, per l’ottantesimo della morte. Momenti intensi di preghiera, di festa per tutti: la presenza del Superiore Generale del Cottolengo, del nostro Vescovo Mario, del nostro Vicario di Zona, da poco nominato Vescovo che vogliamo affidare all’intercessione del Beato. 

Nel messaggio per la benedizione di Natale, oltre a qualche foto ricordo dell’evento, avevamo inserito nel fascicolo anche l’omelia che il nostro Arcivescovo aveva tenuto durante la Messa del 17 settembre. Vi invito ad andare a riprenderla. A riprendere soprattutto l’impegno che lascia a noi poglianesi:

“La comunità di Pogliano ha un grande affetto per don Francesco e ha vissuto la sua beatificazione con intensa partecipazione. Ne venera ora le reliquie. Forse ci si aspetta anche un miracolo perché la Chiesa proceda alla canonizzazione. Il miracolo da chiedere stasera è piuttosto che Pogliano assuma la responsabilità che consegue al fatto di essere il paese di don Francesco Paleari.
Pogliano non ha fatto molto per don Francesco. L’ha consegnato ancora ragazzo al percorso formativo dei Tommasini presso la Piccola Casa della Divina Provvidenza del Cottolengo e poi l’ha ricevuto come un santo. Il miracolo che chiedo questa sera è che la carità, la misericordia, la generosità che Gesù comanda nel vangelo diventi pratica quotidiana, diventi convinzione condivisa ed esperienza ordinaria. Che tutti gli abitanti di Pogliano si convincano che è più facile fare il bene, che è più facile essere generosi e attenti ai bisogni degli altri, che è più facile cercare la riconciliazione e il perdono e certo è più lieto l’animo che condivide i sentimenti di Gesù e si rivela consapevole di essere figlio di Dio e di assomigliare a Lui, il misericordioso Padre di tutti”.

Ecco la responsabilità che il Vescovo ci aveva affidato quella sera. Non basta dire che siamo il paese del Beato solo perché ce l’abbiamo scritto sui cartelloni all’ingresso del paese. Essere il paese del Beato è una grazia da accogliere e una responsabilità da vivere facendo nostri i tratti della spiritualità del beato don Franceschino: umiltà, profondità, silenzio, preghiera, generosità, studio. Ma anche dolcezza, serenità, fiducia nella Provvidenza.

Unendoci alla famiglia del Cottolengo anche noi diciamo: Deo Gratias. Grazie don Franceschino per la tua testimonianza di vita che ancora è viva e fresca. Grazie perché sappiamo che dal cielo stai continuando a vegliare su di noi e a sostenerci nelle prove. Ti affidiamo i nostri parrocchiani che in questi mesi hanno lasciato questo mondo a causa dell’epidemia. Accoglili, apri loro la porta che li conduce alla visione di Dio.

Don Andrea

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